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La Corte dei conti precisa la distinzione tra partenariato pubblico-privato e appalto


Le operazioni di partnership tra pubblico e privato, disciplinate dall’articolo 3, comma 15 ter, del codice dei contratti pubblici, si caratterizzano per la ripartizione dei rischi tra il partner pubblico ed il partner privato.

Tale previsione, al contrario, risulta incompatibile con la stessa definizione di appalto nel quale il privato assume unicamente il rischio legato alla realizzazione dell’opera e mai i rischi legati alla disponibilità o alla domanda.

Questo quanto chiarito dalla Corte dei Conti, sez. contr. della Lombardia, nella deliberazione n. 248 depositata il 24 giugno 2013, con la quale ha risposto ad un quesito presentato da un comune in merito alla possibilità di procedere, tramite l’istituto della finanza di progetto o di altra formula di partenariato pubblico – privato, alla realizzazione di una nuova scuola primaria, e in particolare sulla compatibilità di tali operazioni con le vigenti disposizioni in materia di patto di stabilità interno nonché di indebitamento degli enti locali.

L’ente ha evidenziato che la remunerazione dell’operatore avverrebbe tramite la gestione di una struttura, ma che tale struttura è diversa e ulteriore rispetto a quella realizzanda per conto del comune e seguirebbe, inoltre la cessione di un diritto di superficie sull’area su cui insisterebbe l’opificio necessario alla gestione dell’attività economica.

Le linee guida dell’operazione, definite con atto di indirizzo del consiglio comunale, infatti, prevedono:

– la copertura dei costi dell’intervento (progettazione definitiva ed esecutiva, realizzazione dell’opera) a totale carico del soggetto promotore, scelto con gara ad evidenza pubblica;

– la remunerazione dell’operatore attraverso la gestione di una nuova struttura di tipo sociale, sanitario e assistenziale da realizzare, ad opera del promotore stesso, sull’area su cui insiste l’attuale scuola elementare da dismettere, una volta realizzato il nuovo edificio;

– la cessione del diritto di superficie sull’area su cui insiste il citato edificio scolastico al promotore, per una durata decorrente dalla data dì ultimazione dei lavori di realizzazione del nuovo complesso scolastico, da definirsi a seguito di esame del piano economico-finanziario presentato;

– il riconoscimento da parte del promotore all’ente, quale corrispettivo per l’accennata concessione del diritto di superficie, e a decorrere dalla data dì entrata in esercizio della nuova struttura socio-sanitario-assistenziale, un canone concessorio annuo.

La Corte ha ricordato che le operazioni di partnership tra pubblico e privato sono espressamente disciplinate dall’articolo 3, comma 15 ter, del d.lgs 163/2006 che li definisce come “contratti aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti”.

Affinché l’intervento realizzato tramite finanza di progetto sia considerabile quale partenariato pubblico-privato ai fini della contabilità pubblica, è necessario fare riferimento ai criteri contenuti nelle decisioni Eurostat.

In particolare, la spesa inerente la costruzione di opere pubbliche non deve gravare sul bilancio dell’ente.

Ciò si verifica qualora il rischio ricade sul soggetto realizzatore: sia il rischio concernente la costruzione dell’opera (c.d. rischio di costruzione) nonché il rischio di domanda (vale a dire “il tipico rischio riferito all’utilizzo dell’opera o del servizio connesso da parte dell’utenza finale”) ovvero il rischio di disponibilità, inteso come “il fatto che il realizzatore deve mettere a disposizione degli utilizzatori finali l’infrastruttura e il committente corrisponderà un canone destinato a remunerare, oltre alla disponibilità del servizio, anche (in tutto o in parte) il costo di realizzazione dell’opera”.

Nel caso di specie, i giudici contabili hanno sollevato dubbi sull’applicabilità delle disciplina del partnership tra pubblico e privato, difettando il rischio d’impresa a carico del privato, “dal momento che la gestione di un’attività economica non risulterebbe imprescindibilmente connessa alla realizzazione dei favori, ma sarebbe il contenuto di una facoltà dominicale relativa a un bene concesso in proprietà”.

Secondo i giudici contabili, pertanto, sembrerebbe più correttamente potersi trattare di un mero contratto di appalto.

Come, infatti, osservato dalle Sezioni riunite in sede di controllo, con deliberazione di indirizzo n. 49/2011, “la mancata sussistenza di almeno due parametri indica che l’operazione non ha realmente natura di partenariato con utilizzo di risorse private ma che, di fatto, rientra nella piena disponibilità e rischio per l’ente pubblico”.

Tanto premesso, i magistrati contabili hanno evidenziato che, seppur in presenza di un rapporto di appalto, astrattamente soggetto ai vincoli di finanza pubblica, l’operazione prospetta dall’ente non presenta elementi ostativi con riferimento alle vigenti normative di finanza pubblica.

Infatti, non essendo previsto l’esborso di poste finanziarie, non si pone un problema di compatibilità con i vincoli di finanza pubblica o di indebitamento degli enti locali.

Secondo la Corte, inoltre, l’operazione descritta dal Comune non trova ostacolo neppure nella normativa finanziaria che limita l’acquisto di beni immobili.

Infatti, l’articolo 1, comma 138, legge 228/2012 vieta l’acquisto di immobili a titolo oneroso e non la diversa ipotesi (in cui l’acquisto è mera conseguenza, differita nel tempo, dell’operazione) dell’appalto di lavori pubblici (in tal senso si veda anche la deliberazione n.164 e 209 del 2013)

 


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