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Contratti della P.A.: necessaria la forma scritta ad substantiam


La “forma scritta” costituisce requisito ad substantiam del contratto concluso con la p.a. sicché la sua mancanza determina la nullità del contratto concluso dall’attore, e nulla pertanto può egli legittimamente pretendere dall’amministrazione in esecuzione di detto accordo negoziale.

Questo quanto ribadito dalla Corte di Appello di Lecce, sez II civile, con l’ordinanza del 17 luglio 2013, con la quale ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta da una ditta per ottenere il riconoscimento di alcuni lavori eseguiti.

Nel caso di specie, una volta completati i lavori oggetto di appalto, il direttore dei lavori, i tecnici e gli amministratori comunali ratificavano all’impresa istante, con una tacita accettazione, e con “continui contatti”, stante la loro necessità, la prosecuzione delle opere di completamento della escavazione dei fondali del porto.

Tuttavia, alla richiesta dell’impresa del pagamento dell’importo dei lavori eseguiti, l’amministrazione diffidava la stessa a non proseguire le opere e contestualmente, comunicava che non sarebbero stati riconosciuti importi diversi da quelli contrattualizzati.

La Corte ha chiarito che “per i contratti della pubblica amministrazione è richiesta in ogni caso “ex lege” la forma scritta “ad substantiam”. Ciò al fine di permettere l’identificazione del contratto e l’attività di controllo da parte degli organi amministrativi a tanto preposti”.

Il contratto deve, quindi, tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del contraente e del titolare dell’organo al quale è attribuito il potere di rappresentare l’ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere e al compenso da corrispondere.

Di conseguenza, niente è dovuto da parte dell’amministrazione in esecuzione di un accordo negoziale che manca della forma scritta.

La Corte ha, inoltre, osservato che “ove il soggetto abbia tuttavia svolto di fatto l’attività commissionatagli, se pure in maniera non rituale, può sorgere il diritto al relativo compenso, sempre sotto l’aspetto dell’arricchimento senza causa”.

A tal fine, tuttavia, occorre non solo accertare che di fatto l’attività sia stata posta in essere, ma soprattutto che l’amministrazione abbia riconosciuto l’utilità della prestazione da altri effettuata in maniera esplicita, con atto formale, ovvero anche in modo implicito.

Il riconoscimento dell’utilitas da parte della p.a. costituisce, infatti, la condizione caratterizzante dell’esperimento di un’azione di arricchimento nei suoi confronti.

Il riconoscimento implicito presuppone, o atti formali degli organi deliberativi ovvero comportamenti, quali la consapevole utilizzazione della prestazione o dell’opera, posti in essere, senza il rispetto delle prescritte formalità, dagli organi rappresentativi, dai quali si possa desumere inequivocamente e con certezza un effettivo giudizio positivo circa il vantaggio o l’utilità dell’opera o della prestazione eseguita dal privato.

Ai fini del riconoscimento implicito sono invece ininfluenti la semplice conoscenza dell’esecuzione dell’opera o della prestazione, acquisita dalla p.a. in un momento successivo, ovvero la consapevole tolleranza dell’altrui apporto vantaggioso, trattandosi di elementi non casualmente collegati a un comportamento idoneo a mettere a disposizione dell’ente la prestazione o l’opera e a manifestare con fatti concludenti e univoci il riconoscimento della loro utilità

Inoltre, tale ponderato apprezzamento circa la rispondenza diretta o indiretta della cosa o della prestazione al pubblico interesse non può essere sostituito da un accertamento del giudice ordinario, il quale verrebbe indebitamente a sovrapporsi alla valutazione della p.a. circa l’utilità di un bene in senso lato in vista del raggiungimento dei suoi fini pubblici istituzionali.

Tanto premesso, la Corte ha chiarito che “l’azione d’arricchimento nei confronti della p.a. convenuta è però azione meramente sussidiaria ex art. 2041 cc, sicché la stessa non è proponibile nei confronti dell’ente locale, nell’ipotesi di contratti effettuati in violazione delle norme che regolano la formazione dei relativi contratti (Cass. 17.9.1997, n° 9248), perché in linea generale va ricordato che l’azione di indebito arricchimento nei confronti della P.A. deve ritenersi esclusa, dato il suo carattere sussidiario, in ogni caso in cui il danneggiate possa esercitare un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito e/o per ottenere il pagamento della prestazione professionale commissionatagli ed espletata (Cass. 4.11.1996 n° 9531; Cass. 5.8.1996, n° 7136; Cass. 5.3.1987 n° 2318), in particolare l’azione di responsabilità personale del funzionario per l’inosservanza della procedura di legge per il conferimento dell’incarico prevista dal comma 4° dell’art. 23 del d.l. 66/89”.

 

 


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