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Dipendente assenteista denunciato dalla p.a.: niente rimborso spese


Il dipendente assenteista citato in giudizio per truffa su denuncia dell’amministrazione di appartenenza non può ottenere il rimborso delle spese legali, neppure nel caso di assoluzione con formula piena, non essendovi il presupposto della possibilità di scelta di un legale di comune gradimento.

Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17874 del 6 luglio 2018.

Come ribadito dai giudici di legittimità, il fatto che il processo penale sia stato avviato in seguito alla denuncia per truffa da parte della stessa amministrazione del dipendente esclude il presupposto stesso del diritto al rimborso, costituito dall’assenza di un conflitto di interessi con l’amministrazione di appartenenza.

Pertanto, l’amministrazione non può farsi carico delle spese della difesa del dipendente nel procedimento penale se l’accusa è quella di aver commesso un reato che vede l’ente come parte offesa e, quindi, in oggettiva situazione di conflitto di interessi (in tal senso anche Corte di Cassazione, ordinanza n. 18256 dell’11 luglio 2018).

L’articolo 28 del CCNL 14 settembre 2000 stabilisce, infatti, che l’ente può assumere a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento.

La giurisprudenza diffusamente espressasi in materia ha chiarito che è possibile procedere al rimborso solo in presenza delle seguenti condizioni essenziali:

  • assenza di dolo o colpa grave in capo al dipendente sottoposto a giudizio;
  • presenza di nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti;
  • assenza di conflitti di interesse tra il soggetto e l’ente di appartenenza, che permette di procedere ad una nomina del difensore legale di comune accordo tra le parti.

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